Arroccato alle pendici del Terminillo, durante la prima metà dell’ XI secolo il castello di Lugnano fu compreso tra i beni dell’Abbazia di Farfa fino a quando nel 1252 entrò a far parte del Regno di Napoli, ceduto dal Papa a salvaguardia del confini del Patrimonio di San Pietro.
Dopo il 1309 Lugnano ebbe parte attiva nella fondazione di Cittaducale, costituita per sinecismo per volontà di Carlo II e di Roberto d’Angiò.
Unito ai castelli di Lisciano, Cantalice con le ville di Rocca e Valle, San Liberato, Cerreto, Rocca Cristiana e Villa Nova, Categne e Petescia, Lugnano contribuì a costruire e popolare il quartiere di Santa Croce, dotato della chiesa che replicava il titolo della parrocchiale del paese d’origine.
Il castrum di Lugnano vantava già nel XII secolo le chiese di Santa Croce e Santa Maria in Categne, a tutt’oggi officiata con il titolo di parrocchiale.
Semplice nella struttura architettonica, riccamente decorata all’interno con pregevoli opere d’arte che testimoniano insieme con la devozione popolare l’impegno costante del clero dell’adeguamento degli usi liturgici, nella teca di un altare impreziosito dagli stucchi la chiesa custodisce gelosamente la statua eburnea della Madonna del fiore, valido esempio dell’arte gotica d’oltralpe.
Si tratta di un pregevolissimo manufatto dalle notevoli dimensioni, eseguita con perizia e raffinatezza da un ignoto artista di ascendenza francese nell’ultimo quarto del XIII secolo, capace di armonizzare la raffigurazione della Vergine con il Bambino Gesù sfruttando al meglio la caratteristica curvatura della zanna d’elefante.
Le forme allungate dell’agile figuretta sono impreziosite dal ricco manto dalle pieghe ordinate, capace di valorizzare l’evidente sproporzione delle membra.
Il fitto panneggio delle vesti è esaltato dalla decorazione policroma della ricca bordura che alterna forme geometriche e dettagli floreali.
Il volto della Vergine, dai lineamenti finissimi, incorniciato da un’ordinata capigliatura trattenuta dalla tiara che sostiene il velo, è connotato dalla fissità ieratica dello sguardo rivolto verso la contemplazione dell’infinito.
La figuretta del Bambino Gesù, il cui visetto è modellato secondo la convenzionale concezione del puer senex, è ingentilita dal gesto infantile della mano destra che poggia sul seno della madre mentre protende la sinistra, goffa e sproporzionata, verso il fiore che Maria tiene a sua volta in mano.
La mano sinistra è palesemente un’aggiunta, risultato di un maldestro risarcimento di un danno avvenuto nei secoli successivi.
Le scarne fonti documentarie non ne conservano memoria. Solo nel corso del XVII secolo gli Atti di Sacra Visita di monsignor Francesco Giangirolami, vescovo di Cittaducale dal 682 al 1685, registrano la presenza della statua d’avorio ancora presso la chiesa di Santa Croce a Lugnano: «visitavit altare unicum a cornu evangelii competenter provisum. Pro Icone habet simulacrum B. Mariæ del Fiore sinistro brachio Christum infantem gestantis ad vivam effigiem, quæ est valde devota, celebris et insignis; existit intus Armarium deauratum sculpta mirifico opere ex dente elephantis»[1].
La tradizione, accreditata intorno alla metà del XX secolo da uno scritto di Ugo Valeri[2], riconduce la presenza della pregevole statua duecentesca alle vicende della famiglia Quirini, originaria di Lugnano, che avrebbe rivestito un ruolo di prim’ordine nella fondazione per sinecismo della terra murata di Cittaducale tornando poi nei luoghi d’origine per scampare alla peste del 1363.
Nel suo scritto lo studioso, nipote di don Domenico Valeri che dal 1931 al 1949 era stato parroco di Vazia, faceva riferimento ad un manoscritto dell’archivio parrocchiale – purtroppo smarrito – secondo il quale proprio nel 1363 i Quirini avrebbero portato a Lugnano la Madonna del Fiore, collocandola presso la chiesa di Santa Croce.
L’ipotesi non fu raccolta da Cesare Verani che anzi già nel 1958[3] ridimensionava il ruolo avuto dai Quirini nella vicenda che lega indissolubilmente a Lugnano la sua Madonna.
Pur escludendo la proprietà della statua eburnea, i Quirini ne furono presumibilmente i depositari, o più probabilmente i santesi, fino ad avere parte attiva nella consegna del prezioso manufatto alla chiesa abbaziale di Santa Croce, antica filiazione dell’Abbazia benedettina di Farfa.
La data del 1363 resta dunque plausibile per la traslazione della Madonna del Fiore dalla chiesa di Santa Croce di Cittaducale alla chiesa dello stesso titolo a Lugnano.
Dopo la traslazione della Madonna del fiore dalla chiesa di Santa Croce ormai diruta, avvenuta non prima del XVIII secolo, la chiesa di Santa Maria in Categne ha assunto per alcuni tratti l’assetto di un autentico santuario mariano così da dedicare l’altare della Madonna del SS.mo Rosario, composta con gusto scenografico: la mostra d’altare, sostenuta ai lati da due cherubini alati, incornicia entro quattordici formelle mistilinee profilate d’oro zecchino.
La quindicesima formella è posta in alto, come coronamento della cimasa.
Nell’edicola al centro della cornice, figurano in altorilievo le immagini plastiche di San Domenico di Guzman e di Santa Caterina da Siena, a cui la Madonna e il Bambino Gesù porgono le corone del Rosario, su una nuvola dorata recata in volo dai serafini.
Per l’esposizione e l’utilizzo processionale della preziosa Madonna fu realizzato il tronetto con zoccolo modanato a pianta mistilinea, base mistilinea, postergale a volute con foglie d’acanto, testine alate, cimasa a corona adornata da rosette con croce apicale.
Negli anni ’60 del secolo scorso incauti ladri, dopo il trafugamento della Madonna del Fiore, scoprirono a loro spese l’impossibilità di vendere il prezioso manufatto, regolarmente catalogato e già pubblicato più volte su riviste d’arte di livello scientifico internazionale.
Le serrate indagini della Questura di Rieti portarono in breve tempo al recupero della statua e alla denuncia dei malfattori assicurati alla giustizia.
L’accurato, prezioso intervento di conservazione della statua eburnea della Madonna del Fiore è stato promosso dal funzionario storico dell’arte del Ministero della Cultura Giuseppe Cassio, realizzato dal restauratore storico dell’arte Sante Guido. A cura di Ileana Tozzi.