Collerinaldo è uno dei tanti borghi appenninici costituitisi come nucleo di aggregazione quando si avviò il processo dell’incastellamento: alto sulle pendici dei monti da cui la popolazione locale traeva i mezzi del suo sostentamento quando l’economia di montagna garantiva l’approvvigionamento del farro e del grano, il taglio dei boschi consentiva lo sviluppo dell’ebanisteria, l’allevamento del bestiame assicurava latte, formaggi e carne per l’alimentazione, lana da filare, tessere e commerciare, Collerinaldo conserva ancora i resti di una rocca a guardia delle case-bastione, addossate le une alle altre secondo lo schema radiale tipico degli insediamenti altomedievali.
Le vie all’interno del paese seguono l’andamento naturale dell’aspro terreno montano, aprendosi longitudinalmente fiancheggiate dalle abitazioni in pietra, dagli ordinati portali a tutto sesto, mai privi di una rustica eleganza, intersecandosi con le scalinate dagli ampi gradoni secolarmente percorsi a dorso di mulo da una sequenza di generazioni cornallesi che sembrava destinata a ripetersi interminabile.
Nel corso dei secoli, Collerinaldo con i suoi abitanti ha condiviso le sorti dei più grandi centri abitati, il Borghetto – oggi, Borgovelino – ed Antrodoco, sorti e sviluppatisi lungo il duplice asse di comunicazione del fondovalle, solcato dalle acque limpide e ghiacce del Velino ed attraversato dalla Salaria.
Anche qui, gli esiti della modernizzazione hanno portato ad un progressivo spopolamento coinciso con una radicale trasformazione dell’economia e della società.
L’inurbazione della gente di montagna, irresistibilmente attratta dalle lusinghe di una vita più agevole per sé e per i propri figli, non ha però determinato l’esaurimento della linfa vitale che alimenta le tradizioni più antiche, intimamente legate alla vita contadina ed alla schietta religiosità che la pervade.
Il culto mariano, assai diffuso fin dai primi secoli della cristianizzazione fra le popolazioni rurali, trova in Collerinaldo due antichi centri di devozione, la chiesa parrocchiale intitolata alla Natività di Maria Santissima, un tempo unita alla collegiata dei Santi Dionisio, Rustico ed Eleuterio, e la chiesa secolare della Madonna delle Grazie.
La prima, più antica, si trova nel cuore del paese di cui disegna il profilo con la mole inconfondibile del suo campanile.
Vi si conserva la venerata immagine portata a braccia con devoto orgoglio dai cornallesi sorteggiati annualmente per la solenne processione con cui si celebra la festa della Natività della Vergine.
La tela, eseguita non senza originalità e perizia da un anonimo pittore del tardo Seicento locale, raffigura la neonata Maria amorevolmente tenuta in braccio dalla balia, mentre Sant’Anna la osserva compiaciuta dal suo giaciglio, dove si ritempra dalle fatiche del parto.
La composizione è dunque semplice, gradevolmente realistica, pervasa da un sincero sentimento religioso.
Agli albori del XVI secolo, Collerinaldo entrò a far parte della Diocesi di Cittaducale, istituita con una bolla del 24 giugno 1502 da papa Alessandro VI insieme con le ville di Santa Rufina, Ponzano, Micciani, Castel Sant’Angelo, Canetra, Paterno, Mozza, Ponte, Cantalice, Lugnano, Borgo, Rocca di Fondi, Pendenza, Calcariola e Grotti.
Intorno alla metà del XVII secolo, i pii cornallesi vollero dotarsi di una nuova chiesa che potesse aspirare a diventare meta di pellegrinaggio per loro e per le popolazioni dei centri vicini.
Sorse così nel 1657, isolata sul monte in posizione aprica, la chiesa/santuario intitolata alla Madonna delle Grazie, festeggiata da allora ogni anno nel mese di luglio.
Quando nel 1818 la Diocesi di Cittaducale venne soppressa nel quadro del riassetto territoriale voluto da papa Pio VII , anche Collerinaldo fu accorpato con le sue chiese all’Arcidiocesi dell’Aquila. La parrocchiale divenne così chiesa ricettizia e come tale venne ristrutturata grazie all’intervento del Consiglio Generale degli Ospizi del Secondo Abruzzo Ulteriore.
Solo dal 1976, il territorio in cui Collerinaldo ricade è stato ricongiunto alla Diocesi di Rieti.
A cura di Ileana Tozzi.