Il convento dell’Osservanza Francescana intitolato a Sant’Antonio del Monte fu fondato con l’approvazione di papa Sisto IV concessa il 18 novembre 1474.
Tale insediamento precedette di poco l’istituzione del Monte di Pietà, fondato a Rieti nel 1486 da Bernardino da Feltre, frate dell’Osservanza «p. la dottrina e chatolica predicatione del verbo divino» al fine di «evitare la rabiosa voragine dele usure et rabiosa perfidia et dura cervice de judei usurpatori dele substantie et succatori del sangue deli cristiani et per substentatione de povere persone de dicta cità».
Dopo l’ampliamento secentesco e le spoliazioni postunitarie, la chiesa di Sant’Antonio del Monte ha sostanzialmente mantenuto il suo aspetto ordinato ed armonioso: l’aula, accogliente e luminosa, è fiancheggiata dalle cappelle gentilizie che conservano memoria dei migliori artisti locali, da Vincenzo Manenti ad Antonio Gherardi, l’altare maggiore è affiancato dalle maestose statue lignee di San Francesco d’Assisi e San Bernardino da Siena, nel coro dalle sobrie stigliature in noce è la tela dedicata a San Rocco che ricorda le attività assistenziali a lungo praticate con dedizione e competenza dai frati della comunità.
In fondo all’aula, domina la mole dell’altare maggiore in marmo già sovrastata secondo l’uso post tridentino da un ricco tabernacolo ligneo.
Nel 1857, fra Giacinto da Mandela conferì al marmorario Angelo Bargagni l’incarico di provvedere all’allestimento della scenografica alzata in marmo ed alabastro, cui era unita la mensa in marmo bianco.
Addossato all’altare, su una mensola al centro del basamento, era collocato il monumentale tabernacolo a tempietto in legno indorato e dipinto, a base poligonale, con le immagini di Sant’Antonio e San Francesco ben modellate a tutto tondo.
Documentato presso la chiesa di Sant’Antonio del Monte fino al 2008, è stato destinato dai Frati Minori alla comunità di Fonte Colombo.
Nel basamento dell’altare, dietro la grata metallica indorata della fenestella confessionis è inclusa l’urna profilata in marmo giallo e verde contenente le reliquie di San Vittorino, del beato Angelo da Monteleone e del beato Rainaldi.
La cappella dell’Immacolata Concezione è caratterizzata dagli stucchi sontuosi ispirati alle litanie della Vergine, Ianua Coeli, Turris eburnea, Turris Davidica, Templum Divinae Gratiae.
In una elegante cornice mistilinea, chiave di volta dell’arco di accesso alla cappella, è l’iscrizione TOTA PULCRA ES MARIA ET MACULA NON EST IN TE.
La cappella dell’Immacolata Concezione, prima a cornu Epistulae, è il raffinatissimo risultato della collaborazione fra l’architetto comasco Michele Chiesa e il pittore reatino Antonio Gherardi.
Nato nel settembre 1638 a Rieti, dove ricevette la prima formazione artistica perfezionata a Roma alla scuola di Pierfrancesco Mola e di Pietro da Cortona, Antonio Tatoti, in arte Gherardi, lavorò assiduamente come pittore, decoratore ed architetto per una committenza aristocratica ed ecclesiastica colta ed aggiornata, dando prova di indubbia originalità.
Lasciata la città natale poco più che ventenne alla volta di Roma, alla morte del maestro Pier Francesco Mola Antonio Gherardi completò la sua formazione artistica compiendo un lungo viaggio, fra il 1667 ed il 1669, alla ricerca di un contatto con le esperienze artistiche dell’Italia settentrionale, in particolare con la pittura veneta.
Il ritorno a Roma inaugurò per Antonio Gherardi la stagione delle grandi committenze: è del 1669 l’incarico di decorare a fresco la volta della chiesa di Santa Maria in Trivio, includendo nelle ripartizioni scandite dalle cornici a stucco le tre tele dedicate ai temi della Presentazione di Maria al Tempio, dell’Assunta e della Sacra famiglia.
Questa prima, importante impresa fece sì che l’artista reatino fosse conosciuto ed apprezzato da Fabrizio Naro, che nel 1673 gli affidò la decorazione della sala del palazzo di famiglia: il risultato fu il ciclo pittorico delle Storie di Ester ed Assuero.
Il tema dell’Immacolata Concezione fu affrontato in due distinte occasioni nell’ultimo decennio della sua attività artistica, nel 1693 per la chiesa di San Francesco a Gubbio e nel 1697 per il convento reatino di Sant’Antonio del Monte.
Nel 2003 la grande mostra del centenario gherardiano ha consentito di confrontare le due versioni dell’Immacolata.
In entrambi i casi, risulta indiscussa l’adesione al dettato giovanneo, divulgato dall’Ordine dei Minori. Eppure, nella versione del 1693 – di cui il recente restauro ha rivelato i lucidi cromatismi nella felice imitazione dei tessuti serici, tipica dell’arte di Antonio Gherardi – l’attenzione dell’osservatore è irresistibilmente attratta dal volto umano, sofferente, della creatura infernale, il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana. Questo cruciale elemento è invece riassorbito nell’interpretazione data quattro anni più tardi per la chiesa conventuale di Sant’Antonio del Monte della città natale: qui tornano ad evidenziarsi gli elementi architettonici, in armoniosa continuità con la decorazione in stucco della cappella realizzata in collaborazione con lo stesso Gherardi dal lombardo Michele Chiesa, capomastro e architetto attivo a Rieti ed in Sabina nell’ultimo quarto del Seicento.
A cura di Ileana Tozzi.