Lunetta del portone principale cattedrale Santa Maria

L’episcopato del cardinale Giovanni Francesco dei conti Guidi di Bagno vescovo di Rieti tra il 1635 e il 1639 vide il completamento del processo di riassetto e di adeguamento liturgico della cattedrale intrapreso alla conclusione del Concilio di Trento grazie all’impegno del Capitolo e delle confraternite titolari di alcune delle cappelle erette nelle navate.

Il cardinale di Bagno ebbe a cuore l’attiva collaborazione di Vincenzo Manenti, l’artista nativo di Canemorto – l’attuale Orvinio – che aveva appreso i rudimenti dell’arte alla bottega del padre Ascanio, apprezzato manierista, ma si era perfezionato a Roma alla bottega del Cavalier d’Arpino e di Domenichino: dopo averlo incaricato di dipingere il suo stemma, il vescovo propose al pittore la decorazione delle stanze costruite per fondere in un unico, grande edificio la casa/torre dell’episcopio affacciata sulla pennina dei preti e il Palatium Domini Papæ che dopo la cattività avignonese era stato utilizzato per celebrare i sinodi e presto avrebbe visto Gabriel Naudé allestirvi l’archivio capitolare. Per la cattedrale, Manenti fu impegnato a dipingere tele e pareti per la cappella del SS.mo Sacramento, per la cappella di San Rocco, per la cappella dell’Angelo custode.

Inoltre avrebbe dipinto le mandorle dei tre portali d’accesso alla cattedrale, raffigurandovi la Vergine Maria ed i Santi fondatori e patroni della Chiesa locale.

Fu un’impresa per il pittore sabino inserire l’immagine della Madonna affiancata da Santa Barbara e Santa Giuliana nella lunetta inclusa nel raffinato fastigio duecentesco del portale centrale, in cui s’intrecciano, dagli stipiti all’architrave, ricche volute vegetali e figurazioni animali, concordemente apprezzato e descritto dagli storici locali per l’assoluto valore estetico.

Così, nel XVII secolo, l’erudito Loreto Mattei nel suo Erario Reatino ne parlava come di un «bello, se ben gotico lavoro», ed ancora nel XX secolo, nel saggio postumo Il duomo di Rieti  in cui portò a sintesi le ricerche di una vita lunga ed operosa, Angelo Sacchetti Sassetti si limitava a scrivere che «si aprono nella facciata tre accessi, di cui quello centrale ha un fregio marmoreo, in cui, finemente scolpite, ricorrono varie figurazioni vegetali e animali».

La soluzione offerta da Manenti fu misurata e gradevole, incentrata sulle tre figure muliebri – la Madonna al centro, affiancata dalle due sante sorelle di latte – dipinte nel pieno rispetto della tradizionale iconografia sacra così da armonizzare il colore della pittura con il bianco della scultura in marmo, il linguaggio simbolico del medioevo ed il lessico piano e garbato della tarda maniera che lo rese il più apprezzato interprete dell’arte sacra nella stagione post-tridentina a Rieti. A cura di Ileana Tozzi

2023-07-22T11:11:03+00:0021 Luglio 2023|

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