Una lapide multilingue, sistemata a piazza San Rufo, ricorda, infatti, che ci troviamo nell’”Umbilicus Italiae”. Secondo gli storici Dionigi di Alicarnasso e Marco Terenzio Varrone, motivo di interesse della città era il lago di Paterno. Al centro dello specchio d’acqua sarebbe esistita un’isola galleggiante, considerata appunto l’ombelico d’Italia, formata da incrostazioni calcaree su residui vegetali, sulla quale gli antichi Sabini svolgevano i loro riti religiosi.
Il fatto è confermato sia da Plinio che da Lucio Anneo Seneca. Risalente al VII secolo a.C., Rieti fu conquistata da Manio Curio Dentato insieme al resto della regione nel 290 a.C.. Il console romano fece eseguire il taglio delle Marmore, consentendo al fiume Velino di precipitare nel Nera. Questa importante opera idraulica, citata spesso nelle fonti antiche, è uno degli interventi paesaggistici più interessanti e spettacolari della storia d’Italia, tale da trasformare la città di Rieti in un prospero centro agricolo, naturale fornitore di Roma. Diede e natali a Marco Terenzio Varrone, padre dell’erudizione romana.
Di origine sabina furono gli imperatori della Gens Flavia, Vespasiano, Tito e Domiziano, e vestigia romane si trovano a poca distanza dal Monumento alla Lira nei resti del ponte in pietra che permetteva l’ingresso in città superando il fiume Velino. Papi, condottieri e sovrani soggiornarono a Rieti, da Costanza d’Altavilla che salì in città nel 1185 per sposare, per procura, il figlio del Barbarossa, a Carlo II d’Angiò che un secolo dopo venne incoronato nella Cattedrale da Papa Nicolo IV, a Papa Bonifacio VIII.
In piazza San Rufo è collocato il monumento all’Umbilicus Italiae, realizzato nel 1998, è in travertino, di forma bassa e circolare che richiama il basamento di una colonna e funge anche da sedile.
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