Devozione ed arte popolare nelle edicole di Santa Rufina

Hostes irridet sit quam vis parvula villa/Hanc propriis meritis Diva Ruphina fovet: con questo distico è presentato il paese di Santa Rufina nel fregio della sala delle udienze del palazzo vescovile di Cittaducale che intercala agli stemmi dei vescovi la raffigurazione dei principali centri della diocesi creata nel 1502 da papa Alessandro VI Borgia.

La parvula villa intitolata alla Santa martire Rufina distribuiva ordinatamente le sue case ai margini delle strade che si dipartono dal sagrato della parrocchiale di Santa Maria del Popolo per salire verso la rocca e la chiesa confraternale del SS.mo Sacramento.

Ampliatasi nell’area pianeggiante che digrada verso la Salaria durante il periodo di massimo sviluppo del Nucleo Industriale Rieti-Cittaducale, Santa Rufina mantiene a tutt’oggi pressoché integro il suo impianto originario.

L’abitato di Santa Rufina si era costituito al tempo dell’incastellamento raccogliendo la popolazione che al tempo del potere di Roma era vissuta sicura dedicandosi alle attività agropastorali ed al commercio nei vici dai nomi remoti di Thiora e di Vatia che costellavano la pianura attraversata dalla Salaria e solcata dalle gelide acque del Velino.

Il territorio, dagli spiccati caratteri carsici, vantava diversi luoghi di culto che lasciano traccia nel toponimo della Valle Oracola che si distende lungo il corso del Salto fino a raggiungere il tracciato della via consolare.

L’abitato altomedievale, in posizione dominante sul crinale della collina prospiciente alla via strata di epoca romana, prese il nome della martire cristiana figlia del senatore Asterio processata e uccisa insieme con la sorella Seconda durante le persecuzioni volute dall’imperatore Valeriano, regnante tra il 253 e il 260.

Stando al testo del tardivo passio, le due giovani avrebbero affrontato il martirio al nono miglio della via Cornelia in località Silva Nigra, nei pressi di Porto.

Sotto il pontificato di papa Callisto II (1119- 1124) la sede della diocesi suburbicaria avrebbe assunto il titolo di Porto-Santa Rufina proprio in memoria dell’antica martire che insieme con Seconda assunse il patronato dell’insediamento sorto lungo la Salaria.

Santa Rufina rivestì un proprio ruolo nella fondazione per sinecismo di Cittaducale, la terra nova voluta da Carlo II d’Angiò a presidio dei confini tra il Patrimonio di San Pietro ed il Regno di Napoli ed intitolata nel 1308 al duca Roberto suo figlio e successore sul trono napoletano.

L’ancestrale sentimento religioso nutrito fin dall’antichità dalle pratiche oracolari attraverso il culto degli dei e degli antenati si riverbera nell’usanza diffusa di realizzare immagini propiziatorie all’interno di nicchie appositamente fabbricate sulla facciata delle case costruite in pietra lungo la via dritta, la via Castello, la via Corridoio, le Scalette e i vicoli primo e secondo, in alternativa o in affiancamento al sopralluce ed alle finestre: i soggetti privilegiati dagli anonimi frescanti sono la Vergine Maria con il Bambino Gesù e la Santa titolare del borgo, la martire Rufina.

Le immagini non hanno lasciato memoria nelle visite pastorali dei vescovi di Rieti, di Cittaducale e di L’Aquila che si succedettero nei secoli alla guida della vita spirituale, così come nei documenti dell’amministrazione civile che organizzò la vita pubblica degli abitanti di Santa Rufina: resta, non certo intatto ma non per questo meno significativo, il documento materiale che denota la sincera devozione popolare degli abitanti del paese su cui la Madonna e la Santa eponima erano invocate a dispensare intercessione e tutela.

Gli anonimi frescanti che, presumibilmente tra il XV e il XVI secolo, prestarono la loro opera per le case di Santa Rufina non erano del tutto ignari delle tecniche compositive né delle regole della prospettiva e certo conoscevano i grandi modelli della tradizione pittorica toscana, umbra, romana diffusa attraverso il collegamento della via della transumanza e della lana che attraversava la frontiera tra gli Abruzzi e lo Stato Ecclesiastico.

A Santa Rufina, nella chiesa di Santa Maria del popolo, negli anni ’40 del Cinquecento i fratelli veronesi Lorenzo e Bartolomeo Torresani avevano dipinto le pareti sviluppando i temi del Transito della Vergine accolta in cielo dal Figlio e promuovendo la devozione per Sant’Antonio Abate, San Martino, San Sebastiano.

La chiesa di Santa Maria del Popolo, situata nel perimetro esterno del paese, era stata costruita tra il 1526 e il 1533 ad opera dell’ omonima confraternita, a cui il Capitolo Lateranense con un atto datato al 19 marzo 1526 aveva affidato un terreno «extra villam S. Rufinæ diœcesis Civitatis Ducalis». La tutela del Capitolo Lateranense garantì il decoroso assetto dell’edificio sacro, come dimostra l’iscrizione inclusa nel gradino della cattedra su cui è assiso, benedicente, Sant’Antonio Abate affiancato dai Santi Martino e Sebastiano nel bell’affresco dell’altare laterale a cornu Evangelii: DOM(IN)US HYERONIMUS FRANCHA OELLIS NARN(IENS) IS VICE/COMISARIUS LATERNENSE(N)SIS F(UIT) EXECUTOR

Nel libro aperto tra le mani di Sant’Antonio Abate, esposto alla vista dei fedeli, scorre l’iscrizione Intercessio nos [QUI] SUM[US] BEATI N[OSTRI] ABBATIS COMMENDETUR /QUOD NOSTRIS MERITIS NON Vlemus eius patrocinio assequamur.

La presenza delle insegne Farnese ed Asburgo, lo scudo dentellato timbrato di corona aurea, il campo partito, a destra d’oro caricato di stelle d’argento, a sinistra partito di palo rosso fasciato di bianco e bandato d’ oro e d’argento, consente la datazione dell’opera dopo il 1538, anno delle nozze tra Ottavio Farnese e Margherita d’Austria.

Ma è la lunetta sovrastante il portale d’accesso con la Madonna in maestà affiancata da San Giovanni Battista e San Giacomo Maggiore, anch’essa riconducibile alla bottega Torresani, ad aver costituito presumibilmente il motivo ispiratore delle edicole sovrastanti i portoni delle case del paese, così da invocare la tutela della Vergine e dei Santi sui loro devoti abitanti. Così l’immagine di Maria ricorre più volte replicata evocando il gesto dell’Annunciazione, la mani incrociate sul petto in segno di remissiva accettazione della volontà divina anche se la modesta dimensione della nicchia non lascia spazio all’arcangelo nunziante, assume i tratti dell’Addolorata, si mostra orgogliosa nell’ostensione del Figlio, un bimbetto dalle gambe tornite che quasi si divincola dall’abbraccio materno per dedicarsi ai suoi giochi, fa sintesi felice dei caratteri apotropaici del Dio bambino facendogli poggiare i piedini sul tetto della chiesa che rappresenta in sintesi la comunità dei fedeli.

È proprio questa, la Madonna della via dritta, ad assommare gli elementi iconografici più significativi che alludono al passaggio dei Bianchi battuti evocato dalla bella Madonna delle Grazie restituita da qualche anno dalla parete del presbiterio della chiesa di Santa Maria del Popolo: la Vergine biancovestita è incoronata dagli angeli, il fondo e l’intradosso della nicchia giocano sul bianco e il rosso in positivo e negativo la decorazione che alterna fiori e stelle. Solo il restauro potrà dare conferma della presenza di ostie ricamate sulla candida veste di Maria.

Pochi passi più in là, ancora lungo la via dritta, un’edicola è dedicata a Santa Rufina, la cui identità è segnalata da una scritta maldestra ma certo suggerita dall’oggettiva difficoltà interpretativa del soggetto.

È plausibile che l’immagine sacra alluda al processo affrontato dalle due sorelle testimoni della vera fede al cospetto del prefetto Gaio Giunio Donato.

Anche in questo caso, solo il restauro conservativo promosso dall’associazione “Rulli e Cantine” ed affidato dalla Soprintendenza ABAP all’esperto restauratore Simone Battisti consentirà di dare una corretta interpretazione al dipinto della nicchia. A cura di Ileana Tozzi

2023-09-28T09:44:47+00:008 Settembre 2023|

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