Palazzo Vescovile dopo il sisma del 1898

Dopo il devastante terremoto che colpì Rieti il 28 giugno 1898, il complesso della cattedrale, del campanile e del palazzo papale fu severamente lesionato, già compromesso nelle strutture prima al tempo della Repubblica Romana quando i novanta garibaldini della Legione Italiana furono acquartierati nel salone delle udienze papali, poi per effetto delle leggi eversive postunitarie, esasperate quando per alcuni anni fu impedito l’ingresso e l’utilizzo degli uffici di Curia ai vescovi Gaetano Carletti ed Egidio Mauri.

Dopo il terremoto, fu provvidenziale l’intervento del vescovo Bonaventura Quintarelli che a sue spese fece consolidare la torre campanaria eretta nel 1252 dai maestri lombardi Enrico, Pietro ed Andrea che il Regio Genio Civile avrebbe altrimenti demolito. In seguito, monsignor Francesco Sidoli affidò al Regio Ispettore ai Monumenti Angelo Sacchetti Sassetti il riassetto degli edifici. Il primo intervento della basilica inferiore costò da parte del direttore dei lavori lo scalpellamento delle Storie di San Francesco affrescate agli inizi del Seicento dal pittore Gioacchino Colantoni, che Sacchetti Sassetti liquidò come rozzo pennello.

In verità, l’artista aveva fatto del suo meglio per conto del vescovo frate Gaspare Pasquali OFM, che aveva istituito la confraternita delle SS.me Stimmate di San Francesco con il compito di assistere i moribondi e seppellire i morti nel butto della cattedrale ed aveva dipinto le pareti secondo i crismi post tridentini. L’intento di restituire l’originaria impronta della basilica inferiore, costruita nel corso del XII secolo, ci ha privato di un’opera probabilmente attardata ma pure capace di documentare il clima dell’arte locale tra manierismo e barocco. Solo restarono alcune pitture del XV secolo e l’unico lacerto della pittura di Gioacchino Colantoni, un bel volto di Cristo in croce scampato probabilmente per la devozione di un operaio timorato di Dio.

I criteri del purismo alla Viollet-le-Duc furono condivisi dai due Ispettori, Angelo Sacchetti Sassetti e Francesco Palmegiani, per altri versi nettamente divisi dalla fede politica.

Negli anni Venti del Novecento, subentrato al socialista Angelo Sacchetti Sassetti in qualità di Regio Ispettore ai Monumenti Francesco Palmegiani, organico al regime, studiò con impegno il problema del riassetto dello scalone cinquecentesco sostituito da una scala di stile purista, evocando il supposto originale romanico. La risoluzione fu infine dettata attraverso la demolizione della cordonata, la chiusura della loggia delle benedizioni e la costruzione dei ripidi gradini affiancati alla parete esterna del presbiterio della cattedrale nel chiostrino dell’episcopio.

I bozzetti a matita e china realizzati da Francesco Palmegiani documentano la varietà delle ipotesi puriste affrontate agli inizi degli anni ’30 del Novecento. I bozzetti prevedevano la radicale demolizione della cordonata cinquecentesca e delle cappelle costruite durante i secc. XVI-XVII per la navata a cornu Epistulæ.

Le tele risparmiate sarebbero state inserite negli altari concepiti da Palmegiani secondo l’esempio della basilica di Sant’Agostino, sacrificando gli ​stucchi di Gregorio Grimani e le pitture parietali di Vincenzo Manenti e Lattanzio Niccoli.

Intanto si provvide a tamponare la grande vetrata a tutto sesto in asse alla navata centrale della cattedrale e la porta orientale del battistero di San Giovanni in Fonte e demolire le bottegucce che dal XVIII secolo avevano occupato e stravolto il monumentale andito delle volte del palazzo papale, quando il vescovo Antonino Serafino Camarda O.P. aveva sacrificato la solenne bettezza del vestibolo per fare cassa e ricostruire le cento e cento chiese della diocesi, distrutte dai terremoti del 1703. A cura di Ileana Tozzi.

BOZZETTI A MATITA E CHINA DI FRANCESCO PALMEGIANI

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Cattedrale 

2024-11-09T13:04:54+00:008 Novembre 2024|

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