Santuario di Sant’Anatolia a Borgorose

La passio altomedievale delle martiri Anatolia e Vittoria, accomunate da un legame di parentela e dalla radicale scelta di rifiutare il matrimonio per aderire pienamente alla fede in Cristo, alimentò la devozione popolare promossa dai Benedettini di Farfa, di San Salvatore Maggiore e di Subiaco.

La tradizione  individua senza indugi nel territorio dell’antica città sabina di Trebula Mutuesca il luogo in cui subì il martirio la giovane Vittoria, condannata a morte per la sua conversione al Cristianesimo. Non così per Sant’Anatolia, di cui si contendono la tutela Castel di Tora e Sant’Anatolia di Borgorose.

La chiesa di Sant’Anatolia in Thore è enumerata tra le chiese di pertinenza reatina nella bolla di papa Anastasio IV (1153) e nella successiva bolla di papa Lucio III (1182) che definiscono i confini diocesani, mentre la la chiesa di Sant’Anatolia de Vilano annessa ad un monastero benedettino filiazione di San Salvatore Maggiore nel Cicolano è documentata solo dal 1398.

Nel 1574, al tempo della Visita Apostolica del vescovo Pietro Camaiani il beneficio semplice di Sant’Anatolia risultava unito in perpetuo alla parrocchiale di San Giovanni a Castelvecchio. L’edificio era molto antico, l’aula ampia, ma priva di decoro nelle forme e negli arredi, il tetto da riparare, il pavimento da mattonare, una porta laterale da murare, una cappella da riallestire o meglio ancora da abbattere, una da mantenere per l’illuminazione interna ma almeno da ricostruire, la porta d’accesso da serrare a chiave, una statua lignea della Vergine, indecente e deforme, da bruciare raccogliendone le ceneri nel sacrario: tutto questo fu prescritto a don Domenico Villano, parroco della chiesa di San Giovanni che, sottoposto ad uno scrupoloso esame, fu giudicato idoneo all’esercizio delle sue mansioni perché istruito nella lingua latina e aggiornato riguardo alle liturgie del messale post tridentino.

Il Visitatore decretò che tutte le richieste avanzate venissero soddisfatte entro il successivo mese di ottobre: altrimenti, la chiesa di Sant’Anatolia sarebbe stata privata dei proventi di un’annualità da applicare al sostegno economico del Seminario Diocesano reatino, che il cardinale Marco Antonio Amulio aveva istituito nel 1564, primo nel mondo cattolico ad attuare i decreti tridentini.

Il Visitatore registrò infine l’attività di due confraternite, una delle quali intitolata a Sant’Anatolia, priva di propri redditi mentre la compagnia di San Giovanni godeva dei proventi derivanti da una proprietà che fruttava una coppa di frumento l’anno.

L’immagine della martire paleocristiana è parte integrante della decorazione della parrocchiale di San Giovanni Evangelista, ancora oggi meta della processione che il 10 luglio di ogni anno si snoda da Colle di Tora fino al Santuario.

Nel transetto, a cornu Epistulæ, il secentesco armadio a muro che custodisce reliquie e reliquiari è sigillato da uno sportello dipinto dalle dimensioni di cm. 150 x 69, incernierato sulla solida cornice in noce, su cui è dipinta l’immagine di Sant’Anatolia all’interno di una nicchia culminante nella valva di una conchiglia.

La martire è una bella giovane dai capelli raccolti, il viso dai lineamenti dolci e regolari, lo sguardo vacuo di chi ha contemplato il mistero, vestita di bianco e di rosa, la mano sinistra sul petto, la destra stretta intorno alla palma, l’emblema parlante degno di chi abbia affrontato coraggiosamente il martirio senza rinnegare la propria fede.

Accanto a lei, in basso a sinistra, compare il serpente in cui s’incarna il tentatore che vedremo assumere un ruolo preminente nella tradizione devozionale nell’area del Cicolano.

Nel corno di sinistra del transetto, in una nicchia, è conservata la macchina processionale della metà del XVIII secolo, in legno intagliato, marmorizzato e dorato, decorato con testine d’angelo e festoni a rilievo, sulla quale l’immagine della Santa viene portata ogni anno nella ricorrenza del 10 luglio fino al santuario che ne conserva il nome.

La statua attuale fu realizzata nel 1920 dalla ditta d’arte Francesco Rosa. E’ questo il simulacro che, portato a spalla dai confratelli della Pia Unione, percorre la strada fino a Colle di Tora dove il simulacro della Santa è accolto per una notte presso la chiesa che le è intitolata.

Proprio questa chiesa, dalla prima metà del XVIII secolo e fino al tempo delle soppressioni postunitarie fu affidata alla comunità dei Cappuccini che provvidero alla costruzione del complesso conventuale adiacente.

A questa fase risale la realizzazione della pregevole tela dell’altare maggiore, raffigurante la Madonna in gloria con i Santi Anatolia e Francesco d’Assisi, datato e firmato in basso Bertosi F. 1737.

Dopo il forzato allontanamento dei Cappuccini, il santuario rimase abbandonato fino al 1931, quando fu acquisito dal Pontificio Collegio Greco di Sant’Atanasio.

Nel 1932 Francesco Palmegiani, nel suo compendio Rieti e la Regione Sabina, accoglieva senza indugio la tesi secondo cui il teatro del martirio fosse invece Sant’Anatolia di Borgocollefegato, nella chiesa che da secoli aveva titolo parrocchiale, custodiva il Santissimo Sacramento e fungeva da cappella cemeteriale per gli abitanti del paese dove tutti i capifamiglia facevano parte della confraternita omonima.

La chiesa di Sant’Anatolia fu costruita su un terrapieno sostenuto dalle sostruzioni di preesistenti edifici di epoca romana, come attestano le epigrafi latine murate in facciata e documentate all’interno del santuario.

Altre date sono scritte o graffite alle pareti della chiesa , in memoria dei lavori di costruzione, di adeguamento liturgico e di restauro susseguitisi nel tempo o della presenza di pellegrini che vollero lasciare un segno del loro passaggio in questo luogo di devozione.

Poco rimane dell’antico edificio, descritto in maniera piuttosto compendiaria nella Visita Apostolica del 1574 e nelle Visite Pastorali condotte nei territori del Vicariato di Regno con sostanziale regolarità dai vescovi reatini e dai loro emissari nonostante le difficoltà derivanti dall’obbligo di ottenere dal Re di Napoli l’autorizzazione a varcare i confini.

E’ certo che anche prima dell’ampliamento progettato a cura di padre Luigi Ferrante la chiesa fosse suddivisa in tre navate sostenute da archi e voltate, l’altare maggiore al centro del presbiterio intitolato all’origine a Sant’Anatolia, successivamente alla Natività di Nostro Signore, affiancato dai vani della sagrestia e del campanile affrescati a cornu Evangelii con la rappresentazione dell’inferno, del purgatorio e del paradiso, a cornu Epistulæ con le immagini dei Santi più cari alla devozione popolare, San Rocco, Sant’Antonio Abate, San Biagio invocati a protezione degli animali da cortile ed a tutela dalle malattie più diffuse e più gravi tra la popolazione.

A cornu Evangelii, era disposta la cappella di San Sebastiano fronteggiata a cornu Epistulæ dalla cappella della Pietà con l’affresco del Cristo deposto nel sepolcro.

In posizione avanzata verso la navata centrale si trovava e si trova tuttora la cappella di Sant’Anatolia, con l’affresco devozionale della martire, il Redentore e gli Evangelisti dipinti nei pennacchi della volta.

E’ plausibile ipotizzare che in passato la cappella della martire si trovasse all’esterno, successivamente inglobato nell’ampliamento dell’edificio sacro.

Di fronte ad essa, addossato alla parete, era infine l’altare intitolato alla Madonna di Loreto.

Nell’ultimo quarto dell’Ottocento, la chiesa fu interessata da un impegnativo intervento di rifacimento ed ampliamento, piuttosto che di restauro, che modificò sostanzialmente sia la struttura architettonica del santuario, sia l’allestimento degli altari.

L’altare maggiore riprese l’antico titolo di Sant’Anatolia accogliendo la monumentale statua in gesso realizzata da un giovane scultore ceco, Albert Vojtech Eduard Saff, che dopo aver compiuto gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Vienna aveva frequentato a Parigi lo studio di Auguste Rodin.

Il 13 gennaio 1915, a quindici chilometri di profondità nella piana del Fucino si scatenò un terremoto di magnitudo 7.0 della scala Richter XI° grado della scala Mercalli, che mieté oltre 30.000 vittime e fece registrare più di mille repliche nei mesi successivi.

Le vittime a Sant’Anatolia furono 94.

Undici anni prima, un altro grave sisma di magnitudo 5.7 aveva interessato l’area. A Sant’Anatolia, l’ispezione condotta dagli ingegneri del Genio Civile aveva sancito l’abbattimento di sei case, la puntellatura di 5, la riparazione di altre 24 mediante l’inserimento di catene nella muratura degli edifici.

La struttura del santuario dovette resistere alla violenza del terremoto, dal momento che le fonti documentarie non registrano danni.

Il terremoto della Valnerina, nel 1997, colpì il patrimonio architettonico della Diocesi richiedendo l’immediata attivazione di una prima fase diagnostica a cui seguirono sistematici interventi di consolidamento, restauro e ripristino: anche il santuario di Sant’Anatolia è stato oggetto di un accurato lavoro di riassetto che ha contribuito in particolare al recupero ed alla valorizzazione degli affreschi più antichi.

La devozione per Sant’Anatolia è mantenuta viva dalle tradizioni, tramandate una generazione dopo l’altra con autentica fede.

Un compito assiduo è svolto dalle famiglie del luogo che si alternano nella custodia del simulacro della Santa, una statuetta in lega metallica lavorata a fusione, dalle forme armoniose, che i santesi custodiscono per turni di quattro mesi nelle loro case allestendo altarini e promuovendo incontri di preghiera ed opere di carità destinati a ripetersi ad ogni passaggio di mano in mano, di dimora in dimora.

A cura di Ileana Tozzi
Foto di copertina: Comune di Borgorose

 

2023-08-28T11:28:33+00:0010 Marzo 2023|

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