Alla fine del Duecento il monastero di San Benedetto è documentato per la prima volta quando Nicola Ceci dell’Apoleggia nominò nel proprio testamento la comunità femminile. Pochi anni più tardi, con un breve del 17 agosto 1308 il vescovo Giovanni Muti de’ Papazurri concesse quaranta giorni di indulgenza a chi avesse sostenuto economicamente la fondazione del monastero che con l’aiuto del Comune e la benevolenza della Curia si dotò di orti, case d’affitto e della compartecipazione nella proprietà del mulino delle Cataste in prossimità della chiesa di San Lorenzo.
I beni del monastero, a cui accedevano per lo più giovani di buona estrazione sociale, si accrebbero costantemente fino al XVIII secolo tanto che le religiose provvidero al costante incremento dello stabile e della chiesa annessa interessata ad un primo riassetto agli inizi del Cinquecento quando il maestro lombardo Pietro di Simone stipulava con le monache il contratto con cui si impegnava a rifare la volta a tre crociere e a riassettare l’aula in cui l’altare maggiore era intitolato a San Benedetto ed un altare laterale era dedicato a Sant’Agata.
L’11 gennaio 1574 il Visitatore Apostolico sottopose la chiesa ed il monastero di San Benedetto all’ispezione volta a verificare lo stato di attuazione dei decreti tridentini a dieci anni dalla conclusione del concilio. Trovò una situazione sostanzialmente ordinata, tanto da poter affermare «nihil magnopere correctione indigere reperit» se si escludono le consuete osservazioni riguardo alla necessità di alzare i muri dell’orto e del pollaio, serrare le finestre esterne con grate e cancellate di legno: «crates, posite in loco ad latus ecclesie ipsius monasterii, lamina ferrea exiguis foraminibus perforata componantur. Quoad crates illas per quas monialibus tempore elevationis sacrificii datur prospectus in altare, nigro panno obducantur debitisque temporibus occludantur».
Lesionata dai violenti terremoti che si susseguirono per l’intera durata dell’anno 1703, nel 1718 fu intrapresa la ricostruzione e fundamentis della chiesa di San Benedetto su progetto dell’architetto Michele Chiesa, ultimo tra i maestri lombardi protagonisti del paesaggio urbano di Rieti.
Nato nel 1655 a Morbio Inferiore nel Canton Ticino in diocesi di Como, Michele Chiesa aveva intrapreso giovanissimo l’attività di stuccatore ed architetto alla bottega di Agostino Silva. Nel 1669 affiancò con l’architetto Silva nell’ ideazione degli stucchi per la chiesa di Santa Maria dei Miracoli a Morbio. L’anno successivo seguì il maestro a Spoleto e da qui intraprese la sua operosa carriera nell’Italia centrale. A Rieti progettò, oltre alla chiesa delle Benedettine, il palazzo Cerroni in via degli Abruzzi e la chiesa parrocchiale di San Donato, a Contigliano fu impegnato nella realizzazione della collegiata di San Michele Arcangelo. I lavori a San Benedetto furono completati nel 1723, quando il vescovo Antonino Serafino Camarda O.P. poté solennemente consacare la nuova chiesa, decorata all’interno dal pittore Emanuele Alfani e Francesco Gianfilippi.
La vita delle religiose trascorse serena fino alle soppressioni napoleoniche. Il vescovo Saverio Ermenegildo Marini al fine di impedire la chiusura del monastero vi dispose l’unione con la comunità delle Benedettine di Santa Caterina d’Alessandria, destinando il monastero di via degli Abruzzi ad accogliere il convitto della Congregazione delle Oblate del SS.mo Bambino Gesù che grazie all’attività nel campo dell’istruzione rimaneva esente dalla soppressione.
L’Unità d’Italia segnò la definitiva espulsione delle Benedettine dal loro antico monastero, adibito a sede scolastica fino agli anni Ottanta del XX secolo ed attualmente affidato alla comunità islamica reatina.
Le monache si ritirarono in una dimora privata, oggi gestita come casa di riposo dalla comunità religiosa che ha abbandonato la clausura e si è ricostituita aderendo alla congregazione di diritto pontificio delle Benedettine della Carità. A cura di Ileana Tozzi.