Opera di Vincenzo Manenti della parrocchiale di San Michele Arcangelo a Greccio

Vincenzo Manenti e la decorazione secentesca della parrocchiale di San Michele Arcangelo a Greccio

Non c’è chi non conosca Greccio grazie alla fama universale del miracolo francescano che dette origine alla tradizione del presepe.

Ma il castrum Greciæ, il castello abbarbicato sul monte Lacerone, feudo di Giovanni Velita esponente del prestigioso casato dei conti Berardi, esisteva già da almeno due secoli quando Francesco d’Assisi vi trovò accoglienza.

Il borgo era sorto al tempo dell’incastellamento ed è facile ipotizzare che prendesse il proprio nome dall’allevamento del bestiame essenziale cespite nell’economia della montagna.

L’intitolazione della chiesa parrocchiale a San Michele Arcangelo è indizio della fondazione altomedievale, a cui non fu estranea l’influenza dei Benedettini di Farfa.

Addossata alla cinta muraria, la chiesa figura come cappella di S. Maria de Creccia nel 1398, ecclesia de castro Grecie nel 1438. Nel 1614 è enumerata tra le chiese del vicariato di Poggio Fidoni.

Ricostruita dopo l’assedio subito da Greccio nel 1242 da parte delle truppe di Federico II che, fallendo l’assalto contro Rieti, misero a ferro e fuoco i castelli più prossimi alla città annoverata al tempo tra le sedi itineranti della curia pontificia, la chiesa appariva nel 1574 al Visitatore Apostolico Pietro Camaiani ordinata e pulita, lodevole per le innovazioni apportate all’assetto del tabernacolo e del fonte battesimale realizzati dal parroco don Pietro Capelletti canonico della cattedrale di Rieti.

L’adeguamento liturgico intrapreso con successo da don Pietro Capelletti proseguì negli anni a venire culminando durante la quarta decade del XVII secolo, che vide l’impegno della comunità per il definitivo riassetto della chiesa.

Il 17 gennaio 1636, donna Santa Luciani destinava un censo di 25 ducati perché si provvedesse alla dotazione di un organo. L’atto fu rogato dal notaio Antonio de Christianis Veleterni.

A questa cifra si aggiunsero i 5 scudi del lascito testamentario di donna Cleria di Emilio Modesti.

L’incarico di realizzare l’organo per la chiesa di San Michele Arcangelo fu conferito ad un frate fiammingo di cui le fonti d’archivio non riportano il nome.

Prima di trasferirsi a Contigliano, il religioso assolse al suo compito dal momento che l’organo risultava ancora registrato nel questionario della Visita pastorale del 1713.

La decorazione delle cappelle dedicate a Sant’Antonio di Padova e alla Madonna del Rosario fu affidata a Vincenzo Manenti, di cui è tipica, nella seconda cappella a cornu Evangelii l’ordinata composizione paratattica dei Misteri dipinti all’interno di armoniose cornici mistilinee in stucco intorno alla scena della Madonna del Rosario che insieme con il Bambino Gesù consegna le corone devozionali a San Domenico di Guzman e a Santa Caterina da Siena, sotto la lieta guardia di un coro d’angeli. Attraverso la recita quotidiana del Rosario, promossa dall’Ordine dei Padri Predicatori fin dai tempi della fondazione dell’Ordine, la società civile si moralizza, la Chiesa porta a compimento la sua catechesi.

La cimasa dell’altare della cappella presenta, anch’essa all’interno di una ricca cornice mistilinea in stucco, l’immagine dell’Onnipotente che accoglie. in un abbraccio ideale il popolo dei fedeli che chiede l’intercessione della Madonna.

Alle pareti laterali, sono dipinte le immagini speculari di San Francesco d’Assisi che ammansisce il lupo e di San Bernardino da Siena.

La scena della parete di sinistra è comunemente riferita alla legenda del lupo di Gubbio, ma non è da escludere che l’artista d’intesa con i committenti alludesse alla vicina Fonte Lupetta da cui sgorgava e sgorga a tutt’oggi l’acqua purissima che alimenta l’abitato di Greccio.

San Bernardino, sulla parete opposta, viene invece raffigurato ignorando del tutto la ritrattistica ufficiale che dal XV secolo lo descriveva realisticamente anziano, dal volto rugoso e scavato, dalla corporatura esile: se non fosse per la tabella sorretta nella mano sinistra, con il monogramma IHS ben in mostra, lo storico dell’arte avrebbe qualche perplessità nell’individuare l’identità di questo francescano giovane, bello e robusto dagli occhi vivaci che intercettano lo sguardo dei fedeli, la mano destra tesa in una benedizione che assomiglia nel gesto ad un affettuoso saluto.

Eppure, è proprio questo il più manentiano dei dipinti, che riproduce l’impianto narrativo messo a punto per la tela di Sant’Antonio di Padova dipinta per l’omonima confraternita reatina, successivamente replicata più volte per le chiese della diocesi: la figura del Santo al centro della tela, mollemente appoggiata ad un pilastro, illuminata in controparte da uno squarcio di pittura di paesaggio al duplice scopo di raccontare un episodio della vita e contestualizzare la devozione popolare.

E’ proprio questo l’effetto raggiunto in questo caso, quasi ad alludere ad una predicazione di San Bernardino tenuta a Greccio in gioventù.

Le fonti documentarie non registrano la presenza del santo predicatore dell’Osservanza, ma presso il santuario francescano è conservato il pulpito di San Bernardino in prossimità dell’antica sepoltura dei frati.

Ciò rende plausibile che San Bernardino abbia potuto compiere un pellegrinaggio a Greccio, cogliendo l’occasione per rivolgere la sua catechesi al popolo dei fedeli.

Ancora lungo le pareti della seconda cappella a cornu Epistulæ sono dipinte a destra la Madonna del Carmelo che intercede per le anime del purgatorio, a sinistra  lo Sposalizio della Vergine, in alto Sant’Antonio Abate e Santa Lucia.

La tecnica utilizzata è tipica della bottega Manenti, praticata già da Ascanio e perfezionata da Vincenzo: l’affresco rifinito a secco, infatti, garantiva una migliore resa della luminosità cromatica dei dipinti ed una maggiore resistenza agli agenti atmosferici, soprattutto all’umidità ed alle escursioni termiche particolarmente insidiose per gli ambienti esterni.

I dipinti parietali, pesantemente ridipinti agli inizi dell’Ottocento, sono oggi lacunosi, segnati da crettature e cadute di colore, chiazzati a tratti da macchie di umidità più o meno estese, bisognosi di un sollecito ed accurato intervento di restauro.

Nel 1799, il castello di Greccio fu messo a ferro e fuoco dalle truppe del capo di Stato Maggiore dell’Armata d’Italia Louis-Alexandre Berthier maresciallo dell’Impero, principe di Wagram, Neuchatel e Valangin, che il 7 dicembre 1797 aveva occupato Roma esautorando papa Pio VI e il 15 febbraio 1798 aveva proclamato la Repubblica Romana.

La parrocchiale di San Michele Arcangelo fu profanata e chiusa al culto fino al 1829 quando furono intrapresi i lavori di riassetto conclusi nel 1832, quando la chiesa  poté essere riconsacrata. Purtroppo, però, le tele e le tempere non furono restaurate ma ridipinte da maestranze dalle modeste capacità, che intervennero pesantemente sulla composizione delle scene e delle figure.

A distanza di quasi due secoli, sarebbe quanto mai auspicabile un sistematico intervento di consolidamento e restauro dei beni architettonici ed artistici della chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo di Greccio.

Ci auguriamo che il puntuale restauro eseguito dai professionisti di Tecnicon possa essere il primo, determinante tassello per il definitivo recupero delle opere realizzate da Vincenzo Manenti per la parrocchiale di San Michele Arcangelo a Greccio.

A cura di Ileana Tozzi

Tela restaurata

Tela prima del restauro

Altare e tela smontata

2023-06-10T10:01:20+00:0010 Giugno 2023|

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