La risposta alle ambizioni autonomistiche del Reatino e della Sabina rispetto all’Umbria, nella cui provincia le due aree erano state inserite con l’avvento dell’unità d’Italia, giunse soltanto nel Novecento, quando peraltro esse dovettero confrontarsi anche con le mire annessionistiche della costituenda provincia di Terni. Il processo che condusse alla separazione delle due regioni da Perugia e alla loro integrazione nel Lazio fu assai complesso e vide, da un lato, un forte sforzo teso a suffragare teoricamente l’estraneità di Reatino e Sabina all’Umbria (si pensi agli studi di Riccardo Riccardi, grande geografo di origine reatina) e, dall’altro, un’opera serrata di “sfiancamento” degli organi centrali competenti al fine di conseguire l’obiettivo desiderato.
Una decisa accelerazione si ebbe in periodo fascista. Nel 1922 i notabili reatini costituirono l’Unione sabina, associazione nata per tutelare e promuovere gli interessi della regione. Già il 15 dicembre 1923 una sua delegazione fu ricevuta da Mussolini per discutere il problema. In quell’occasione al capo del governo fu presentato un memoriale, redatto da Mario Marcucci, Francesco Palmegiani e Giuseppe Fiordeponti, che prospettava l’importanza storica della Sabina e proponeva per Rieti il ruolo di capoluogo di una nuova provincia. Il documento si spingeva a delinearne una enorme, dai confini analoghi a quelli che si paventava potesse avere la provincia di Terni – il memoriale va del resto letto in chiave schiettamente antiternana – di cui si cominciava a parlare in quel torno di tempo: essa avrebbe dovuto comprendere, infatti, il circondario di Rieti, i mandamenti di Norcia e Cascia, quello di Orte e la stessa Terni. Non mancava, naturalmente, anche la proposta più realistica di non essere annessi all’ambiziosa città umbra e di essere invece accorpati, come circondario di Rieti, alla provincia romana.
Con decreto del 4 marzo 1923 il circondario di Rieti fu effettivamente aggregato alla provincia di Roma. Da Perugia non si levarono proteste, mentre qualche malcontento si registrò a Terni, che vedeva per il momento sfumare la sua costituzione in provincia autonoma e temeva che Roma ne approfittasse per opporsi allo sfruttamento delle acque del fiume Velino da parte del consorzio delle industrie umbre: progetto che i notabili reatini avevano sempre osteggiato e che comunque l’affrancamento dall’Umbria non fece tramontare. Inoltre, sempre nel 1923 Terni chiese al Ministero dell’interno che alcuni comuni del circondario ormai romano di Rieti passassero sotto la sua giurisdizione: Labbro (Labro), Colli di Labbro (Colli sul Velino), Morro Reatino, Vacone, Configni, Cottanello e Leonessa. Non se ne fece nulla per l’opposizione del prefetto di Roma e, naturalmente, degli stessi reatini.
Si era appena ottenuta l’indipendenza dall’Umbria che già iniziava la nuova partita per l’autonomia provinciale sabina. Il sostegno di Luigi Federzoni, allora ministro dell’Interno, le mobilitazioni di piazza per Rieti capoluogo e le attività dell’Unione Sabina costituirono importanti leve di pressione. Nel 1926, con l’avvio del programma di ristrutturazione amministrativa generale dello Stato, fu proposta la soppressione di diversi circondari, tra cui anche quelli di Sulmona e di Cittaducale, afferenti alla provincia dell’Aquila. Per il territorio di Cittaducale si prevedeva l’aggregazione dei comuni di Borgocollefegato (Borgorose), Pescorocchiano e Fiamignano al circondario di Avezzano, e degli altri all’Aquila. Rieti si incuneò nelle discussioni tra i comuni dell’ex regno meridionale per proporsi come il fulcro di una nuova entità regionale che trascendesse quelle che Mussolini stesso definiva assurde contese municipalistiche.
La forza di cui all’epoca godeva la città fu dimostrata anche dalla nomina, il 9 dicembre 1926, del principe Ludovico Spada Veralli Potenziani, massimo rappresentante dell’aristocrazia romano-sabina e animatore della «rinascita» sabina, a governatore di Roma. Con regio decreto del 2 gennaio 1927 Rieti divenne capoluogo di provincia e alla sua amministrazione furono accorpati i comuni del già soppresso circondario di Cittaducale, la cui annessione era solo l’ultimo atto di una lunga storia di rapporti conflittuali con Rieti, le cui origini risalivano al tentativo di definire la linea di confine, eternamente fluttuante, tra Stato della Chiesa e Regno a partire dal XV secolo: rapporti peraltro complicati da una storia altrettanto lunga di complesse sovrapposizioni territoriali a livello di giurisdizione ecclesiastica, con la diocesi di Rieti che si era sempre estesa per larga parte anche oltre i confini pontifici, includendo il Cicolano e Montereale e che ciò nondimeno aveva visto l’esistenza all’interno di quell’area della piccola diocesi di Cittaducale, poi passata all’arcidiocesi dell’Aquila fino al 1976, tra il 1502 e il 1818.
Foto documenti e testo: Archivio di Stato.